Il suo primo inedito, composto da Fabio Giachino, e prodotto dal noto rapper/producer Bassi Maestro e Veezo dei Loop Therapy è stato creato a seguito della partecipazione alle semifinali del concorso “Castrocaro”, in onda su Rai 2

Classe 1988, Camilla Santucci ha iniziato ad esibirsi in veste di solista già all’età di dieci anni, su diversi palchi dello scenario della musica lirica, con alcuni fra i migliori cantanti e direttori d’orchestra, come il Maestro Sinopoli, da cui è stata diretta sia all’Auditorium del Lingotto di Torino, sia all’Accademia Santa Cecilia di Roma. Dal 2000 in poi, dopo essersi esibita a Ginevra per l’ONU con la piccola orchestra Suzuki, ha iniziato ad avere varie parti da solista sul palco del Regio. Il suo primo inedito, composto da Fabio Giachino, e prodotto dal noto rapper/producer Bassi Maestro e Veezo dei Loop Therapy è stato creato a seguito della partecipazione alle semifinali del concorso “Castrocaro”, in onda su Rai 2. Nel 2018 si è esibita per la rassegna “I Suoni della Piazza” de La Piazza dei Mestieri con un intero live dedicato a tutti i suoi inediti con il progetto “Lavori In Corso Project”, accompagnata da Fabio Giachino e Mattia Barbieri. Da allora, ha iniziato il suo percorso da cantautrice, dando spazio alla sua voglia di sperimentare nuovi generi e pubblicando così sulle piattaforme musicali gli inediti “Cado Giù”, “La Seconda Parte di Me”, “Come un Vortice”, prodotti da Jack The Smoker. Attualmente, dopo una pausa dovuta all’esame di Stato per diventare avvocato, ha cominciato il suo nuovo progetto con Marcello Picchioni, jazzista genovese e anche lui amante della musica elettronica. Tra gli altri suoi singoli più famosi, spiccano “Come la Bertè” e “Storia di un film”.

Camilla, innanzitutto grazie per aver accettato il nostro invito. Hai ormai alle spalle una carriera più che ventennale nel mondo della musica, con particolare riferimento al settore canoro, quali sono le tappe del tuo percorso che ricordi con maggiore emozione?

● Grazie a voi per lo spazio che mi state dedicando! Sicuramente fra i periodi più belli del mio percorso canoro e in generale della mia vita, è stato il Teatro. Sono entrata a far parte del coro delle voci bianche del Teatro Regio di Torino all’età di 9 anni e ho continuato fino ai 18. Sono diventata solista molto presto e ho avuto la possibilità di cantare con dei grandi artisti! Ma in generale, l’emozione del Teatro è ineguagliabile: le scenografie, dover imparare a recitare, dover seguire il Maestro d’orchestra e tutta l’orchestra, tutto questo ti forgia. Impari a gestire mille cose contemporaneamente e soprattutto, impari a rispettare i ruoli di tutto lo staff. Lo spettacolo non va in scena se anche solo una delle sarte o dei macchinisti non è presente. Inoltre, il Teatro è meritocratico. Devi studiare, essere costante, disciplinata ed ambiziosa, ed infine, essere talentuosa. Un’esperienza unica.

In aggiunta, ho avuto la fortuna di nascere in un jazz club, e quindi tutte le sere, mentre aspettavo che i miei finissero di lavorare, mi mettevo ad ascoltare le band in un tavolino vicino al palco, e quando i musicisti finivano, mi portavano dai miei in braccio… Il mio locale è stato uno di quelli vittima del Covid, ma fino a qualche anno fa, mi esibivo proprio su quel palco.

Il tuo primo inedito è stato prodotto da una colonna portante del rap nostrano, Bassi Maestro. Quanto è stato importante per te collaborare con un professionista del suo calibro?

● Bassi Maestro è uno degli artisti con più gusto musicale che io abbia mai conosciuto. Dedito alla musica e talmente empatico da riuscire a carpire in pochi minuti la natura di un artista e da riuscire dunque a ricreare la sua musica in pochissimo. Quando sono arrivata nel suo studio, ero confusa e non ero in grado neanche di dar voce a quello che avevo in testa, ma non è stato necessario. Lui sapeva esattamente quello che doveva fare. Abbiamo lavorato ininterrottamente 2 giorni… altri producer con cui ho lavorato, per raggiungere lo stesso obiettivo, ci hanno messo mesi!

Bassi Maestro è proprio un maestro!

Parliamo del tuo nuovo singolo, “Storia di un film”… potremmo definirlo il tuo personale trattato sull’amore?

● “Storia di un film” parla di un amore idealizzato. Una storia d’amore vissuta come una delle classiche storie d’amore da film romantico, ma che purtroppo deve fare i conti con la realtà. Molte volte, infatti, ci si accorge che alcune sensazioni e sentimenti sono solo frutto di immaginazione e di finzione. La realtà è un’altra, ma non è detto che debba essere meno emozionante della fantasia, forse solo più faticosa. Storia di un film è un inno a vivere tutti i giorni emozionandosi, con l’unico obiettivo di costruire e creare una vita fatta a misura per noi stessi… senza finzioni.

Le sensazioni che esprimi all’interno di un altro tuo singolo, mi riferisco a “Come la Bertè”, sono vissute in maniera altrettanto intensa…  da qui il riferimento alla “donna” per antonomasia, Loredana Bertè?

● Il riferimento a Loredana Bertè è nato proprio perché lei è stata una donna che ha vissuto sempre tutto a mille. Dal dolore alle passioni. Io stimo tantissimo le donne in generale, soprattutto per la forza che riescono a dimostrare in ogni tipo di occasione. Durante il lockdown, ci sono stati parecchi momenti in cui mi sono sentita persa e ho sentito la necessità di trovare conforto e appoggio nella figura di qualcuno… inizialmente ho pensato a mia madre! Lei è una donna straordinaria e che stimo tantissimo… tuttavia, quando ho iniziato a scrivere, ho cercato di immaginare quale donna nel panorama musica italiano potesse racchiudere tutte le caratteristiche che secondo me una donna dovrebbe avere e che condividesse il mio stesso amore per la musica… e da lì la canzone si è scritta da sola! Ci sono momenti, come durante il lockdown, in cui ci si sente proprio come se si stesse “in alto mare”… ma se si riesce a “lasciarsi andare”, proprio come la Bertè faceva nella sua canzone, puoi sentire dentro un fuoco ardere che brucia e che ti spinge a superare tutto… e per questo la frase “ in alto mare io brucio come la Bertè”, perché, sotto pressione, io do sempre il meglio di me.

Quanto è importante l’immaginazione per un’artista e, più in generale, per ciascuno di noi? Pensi che oggi più che mai possa fare la differenza e “salvarci”?

● A parer mio, l’immaginazione, per un’artista e in generale per le persone, è come un’isoletta in cui possiamo sentirci come meglio crediamo. L’immaginazione è necessaria per poter focalizzare gli obiettivi, per rivivere situazioni spaventose e riuscire a vincere paure ed imbarazzi perché le riviviamo come meglio crediamo. Anche l’immaginazione ovviamente deve essere controllata e canalizzata… altrimenti non può essere ricreata nella vita reale. L’immaginazione è un mezzo potentissimo che mi ha salvata più di una volta e da cui attingo tutti i giorni per ritrovare quel “bel pensiero” che mi aiuta ad affrontare la giornata e a farla andare come voglio io! Credo tuttavia, che molte volte però, l’immaginazione debba rimanere tale, e la realtà possa diventare fantastica tanto quanto l’immaginazione.

Quello della salute mentale, in questo caso correlata alla noia e alla solitudine, è stato un tema molto dibattuto nelle fasi immediatamente successive all’introduzione delle prime restrizioni anti-covid. La tua attività musicale potrebbe essere considerata, in questo senso, un valido strumento di prevenzione?

● In una delle canzoni che ho portato a termine proprio durante il Covid, pubblicata poi a giugno 2021, parlo proprio di una depressione bipolare; chiaramente, in veste allegra e andante, per evitare di appesantire la tematica. Credo che le restrizioni abbiano solo amplificato ed aumentato la sofferenza, la solitudine e la noia di alcune persone, ma che siano sensazioni insite nella natura di tutti noi e che, in alcuni casi, possano sfociare in patologie.  In “La seconda parte di me” cerco di trasmettere un messaggio ben preciso: quelle sensazioni non svanisco. Quelle sensazioni vanno controllate, conosciute e sublimate. Tutto questo è necessario ed è doveroso farlo, innanzitutto per il proprio benessere mentale e, secondariamente, per tutte le persone che ci accompagnano. L’analisi e la terapia sono la soluzione migliore per vivere con serenità, soprattutto durante questo momento storico. Durante il lockdown, facevo analisi da remoto e contestualmente scrivevo i miei brani… sono stata bene. Quando mi sento più debole, scrivo, mi alleno, canto, studio ed esco, se parlare con i miei cari non basta… sublimare la propria sofferenza è una terapia, ed una soluzione!

A quali modelli musicali ti ispiri?

● Premesso che ho ascoltato tutti i generi musicali, attualmente, per immaginare l’andamento di un mio brano, per le produzioni musicali, mi ispiro a Medasin e Dardust; per le linee melodiche a Serena Brancale ed Elodie; per i testi invece, soprattutto ultimamente, ad alcuni rapper come Marra o Fabri Fibra.

Un’ultima domanda… cosa si prova ad essere contemporaneamente una grande cantante e un avvocato?

● Preparare l’esame d’avvocato è stato, oltre che faticoso, perché contestualmente lavoravo, un grande sacrificio. Per un anno non ho scritto né cantato; ero focalizzata solo sull’esame. Fortunatamente è andato molto bene e sono riuscita a passarlo al primo colpo! Pur essendo abilitata però, ho deciso di continuare a lavorare nel mio ufficio; infatti, 5 anni fa, la mia mamma ed io abbiamo aperto un centro di assistenza fiscale e previdenziale che sta andando benissimo. Visto il momento storico di crisi, confrontandomi anche con altri avvocati, ho preferito continuare ad ampliare la mia attività. Essendo questo lavoro incompatibile con l’attività di avvocato, ho deciso di mettere in stand by l’iscrizione all’albo. Lavoro comunque in studio legale, ma sempre con la supervisione di quella che era la mia “domina”. Ad oggi ancora, quando scrivo un atto o un ricorso, penso a come scriverei una canzone… e tutto è più semplice e piacevole.