Una presenza tutt’altro che scenica, un guerriero silenzioso, rimasto sempre fedele a sé stesso

Sono passati più di due mesi dal giorno in cui il russo Fedor Emelianenko, probabilmente il più grande combattente di arti marziali miste della storia, decideva di ritirarsi. Quaranta vittorie, sette sconfitte, un no-contest, queste le sue statistiche ufficiali, che comunque non risultano abbastanza esaustive. The Last Emperor, questo il suo soprannome, è rimasto imbattuto per quasi un decennio, dal 6 aprile del 2001, giorno in cui sconfiggeva Mihail Apostolov, sino al 26 giugno 2010. In quella sera d’estate, accadeva infatti l’impensabile: Fabricio Werdum, specialista nel submission grappling, costringeva Emelianenko alla resa, sotto lo sguardo sbalordito di milioni di telespettatori. Nel mezzo, nell’arco di quel “quasi” decennio, l’ultimo imperatore ha conquistato e difeso per quattro anni il titolo di campione del mondo dei pesi massimi PRIDE, vincendo anche il prestigioso torneo Pride Heavyweight World Grand Prix nel 2004. Nella federazione RINGS, si è invece aggiudicato due competizioni: il torneo Openweight e il torneo Absolute Class. Tra il 2008 e il 2009 ha poi conquistato e difeso il titolo mondiale WAMMA. Ma torniamo a quel 26 giugno 2010. L’inizio della fine. Dopo la sconfitta con Werdum, ne seguiranno altre due, contro Dan Henderson e Antonio Silva. Poi, una faticosa risalita, che condurrà l’ultimo imperatore alle porte della federazione Bellator. Ottime prestazioni, nonostante l’età ormai avanzata, ma il fallimento dell’obiettivo principale, ovvero la vittoria di un nuovo titolo mondiale, negatagli dal già campione dei mediomassimi Bellator, Ryan Bader. È quest’ultimo, il 4 febbraio 2023, a porre fine alla carriera di Emelianenko, respingendone l’assalto ai vertici della categoria. Ma Fedor è stato molto più di un semplice, seppur grande campione. Egli ha rappresentato, a lungo, un sogno, un ideale di immortalità e imbattibilità sportiva, soprattutto una speranza di perfezione. Il tutto dietro una grande semplicità, perché l’atleta russo non ha mai seguito una vera dieta, tanto da essere considerato un “abusivo” nella categoria dei pesi massimi, né ha mai usufruito dei servigi di un vero e proprio team di allenamento, preferendo preparare i suoi incontri assieme al fratello, anch’egli valido combattente, e a pochi altri atleti e allenatori che sporadicamente lo supportavano. Una presenza tutt’altro che scenica, un guerriero silenzioso, rimasto sempre fedele a sé stesso. Questa resterà, tra le tante vittorie di un atleta che, è giusto ricordarlo, è stato anche più volte campione del mondo di Sambo, l’affermazione più importante di tutte.