Soppiantare i vecchi strumenti d’apprendimento in favore di una maggiore libertà formativa potrebbe non essere un errore, sebbene i confini della materia appaiano fin troppo labili
La cultura digitale, affermatasi nel corso degli ultimi decenni grazie alla repentina diffusione di dispositivi tecnologici sempre più avanzati, è ormai divenuta parte integrante non solo dell’attuale sistema sociale, bensì anche di quello accademico, con una particolare attenzione da rivolgere al settore editoriale. Non più di tre settimane fa, Amazon annunciava la creazione di “Kindle Scribe”, il lettore ebook dotato di apposita penna e schermo antiriflesso, concepito per consentire agli utenti di prendere appunti direttamente durante la lettura di un determinato testo. Nel frattempo, facendo riferimento all’ultimo anno, in Italia hanno chiuso i battenti più di 500 librerie. Ormai, circa il 20% dei cosiddetti lettori abituali, coloro che usualmente consultano almeno un libro al mese, ha dichiarato apertamente di preferire gli ebook ai volumi cartacei, che in maniera sempre più impietosa vengono accantonati anche dai referenti del mondo didattico; tra lezioni a distanza, video e dispense in formato pdf, sono in repentino aumento gli studenti che prediligono l’iscrizione ad una specifica università telematica, rinunciando all’ingresso negli atenei tradizionali. Un fenomeno destinato ad un inevitabile incremento. Basti pensare che dal 2016 ad oggi il numero di allievi che, una volta ultimato il percorso scolastico, hanno scelto di iscriversi ad un’università telematica è più che triplicato. Eppure, la didattica a distanza non può essere ritenuta la semplice riproduzione delle pratiche tradizionali con strumenti virtuali. Richiede infatti un approccio innovativo, con l’obiettivo di creare situazioni di apprendimento in cui lo studente sia messo nelle condizioni di sviluppare autonomamente competenze e conoscenze. Si dovrebbe parlare, in questo caso, di didattica auto-regolativa, ovvero dello scopo finale della nuova cultura digitale: un insieme di processi di controllo sul proprio comportamento in relazione agli obiettivi intenzionali mediante forme di guida o di auto-monitoraggio, di azioni di prevenzione e di controllo sull’ambiente. Soppiantare i vecchi strumenti d’apprendimento in favore di una maggiore libertà formativa potrebbe non essere un errore, sebbene i confini della materia appaiano fin troppo labili. D’altronde, un corretto approccio didattico di stampo digitale, e quindi innovativo, dovrebbe poggiare su tre pilastri fondamentali, ossia auto-controllo, auto-gestione e auto-monitoraggio, una serie di virtù di cui purtroppo, ad oggi, molti studenti sono ancora sprovvisti. Questo limite, sociale prima ancora che culturale, rappresenta l’ultima trincea della didattica tradizionale, ormai in affanno da oltre un triennio, a causa senz’altro della pandemia di Covid-19, ma anche delle esigenze di un mondo, quello del lavoro e della formazione, che corre sempre più veloce (e altrettanto sono chiamati a fare i suoi fruitori). Ma senza la chiave di volta dell’auto-regolazione, la completa rivoluzione della cultura digitale sarà costretta ad aspettare.