Un contributo storico a cura del Dott. Antonio Fabrizi, già autore del libro “Morte di un eroe e altri racconti”
Il 12 agosto 1944 tre compagnie della 16. SS-Panzergrenadier-Division “Reichfuhrer-SS”, con l’ausilio di alcuni militi della Repubblica Sociale italiana, compirono un eccidio ai danni della popolazione civile nell’area di Sant’Anna di Stazzema: le vittime furono 560.
A morire furono soprattutto donne, vecchi e bambini, in quanto, convinti si trattasse di un rastrellamento mirato alla ricerca di personale da impiegare nel lavoro coatto (come già accaduto in precedenza), gli uomini erano fuggiti nei boschi onde evitare la deportazione. Nelle modalità con cui fu portato avanti l’eccidio ricorda un altro eccidio, avvenuto sempre sull’Appennino Tosco-Emiliano alla fine di settembre dello stesso anno, quello di Monte Sole, noto anche come “strage di Marzabotto”: l’area fu circondata onde bloccare la via di fuga da una quarta compagnia, mentre le altre tre risalivano su in paese per uccidervi le persone rimaste intrappolate (si tratta, in pratica, della tattica della “sacca”, largamente utilizzata sul fronte orientale dalle truppe del Terzo Reich).
Differiscono invece gli obbiettivi di questo eccidio rispetto a quello di Monte Sole: se quest’ultimo, infatti, si colloca nella più generale politica di annientamento della presenza partigiana nella zona (senza però distinguere, proprio come sul fronte orientale, tra combattenti e civili), l’area di Sant’Anna di Stazzema era denominata dagli stessi comandi tedeschi “zona bianca”, ovvero caratterizzata dalla scarsa o nulla presenza partigiana e anche per questo divenuta rifugio di sfollati.
Che cosa, dunque, scatenò questa furia omicida?
Per rispondere bisognerebbe calarsi nella mente dei comandanti tedeschi, da Kesselring in giù, e nel contesto di quell’estate del 1944, apertasi, il maggio, con l’offensiva sulla Linea Gustav e successivo sfondamento da parte degli Alleati. Al momento dell’offensiva, nelle memorie del generale Alexander si stima che circa sei divisioni tedesche fossero impegnate nel reprimere l’attività partigiana dietro le linee. Può darsi che il numero sia esagerato, tuttavia la rilevanza del movimento partigiano nella campagna d’Italia è confermata dagli stessi tedeschi (i quali, in particolare durante la presa di Massa da parte degli Alleati il 24 giugno, lamentarono attacchi “delle bande alle spalle”, come se si trovassero tra due fuochi).
Kesselring ne prese atto emanando, già il 17 giugno 1944, un nuovo “Regolamento per la lotta alle Bande partigiane”, che si impostava su tre linee direttrici: la prima, la “prevenzione” ovvero “arrestare una percentuale di popolazione” nelle zone con elevato movimento delle bande, la seconda, la “repressione” ovvero distruggere la località intera e uccidere tutti i maschi maggiori di 18 anni laddove si fossero verificate azioni da parte dei partigiani, la terza, cosa ancora più importante ai fini di questo articolo, la premura di “proteggere i comandanti” che avessero esagerato nella scelta dei mezzi d’intervento nella repressione, in pratica incoraggiandoli a commettere ogni atrocità sicuri di non incorrere in nessuna sanzione, anzi, semmai stigmatizzando le eventuali manifestazioni di pietà.
Con queste direttrici, e in particolare con la terza, Kesselring formalizzava, che ne fosse consapevole o meno, il passaggio, da parte dell’esercito del Terzo Reich, dalla lotta alle bande partigiane alla guerra alla popolazione civile.
Come detto sopra, nell’area di Sant’Anna di Stazzema la presenza partigiana era scarsa o nulla ed è certo che nessuna azione rilevante da parte delle bande era stata intrapresa (i combattimenti in quel momento infuriavano più a sud, a Firenze, insorta l’11 d’agosto). Seguendo lo stesso regolamento di Kesselring, dunque, la popolazione dell’area avrebbe dovuto essere al sicuro.
Tuttavia, attraverso l’area di Sant’Anna di Stazzema sarebbe dovuta passare la seconda linea di difesa dell’esercito del Terzo Reich in Italia, la Linea Gotica. Una direttiva emanata da Hitler il 2 giugno del ’44 imponeva che, per 10 chilometri, al di qua e al di là di essa, il territorio dovesse essere sgombro da qualsiasi insediamento civile. La ragione era semplice: la Linea Gotica, in particolare durante la costruzione, poteva essere vulnerabile ai sabotaggi dei partigiani. Ora, poiché la popolazione supportava i partigiani, tolta la popolazione, sarebbe stato tolto il supporto ai partigiani. Di conseguenza, la Linea sarebbe stata più sicura da eventuali sabotaggi e quindi più resistente agli assalti degli anglo-americani.
Seguendo questi ordini, i comandanti tedeschi ordinavano il trasferimento dei civili verso Sala Baganza, in provincia di Parma. Tuttavia, secondo lo storico Carlo Gentile, lo sgombero dei civili risultò particolarmente difficile, se non impossibile, in tutta la zona della Versilia e della Alpi Apuane, in primo luogo perché la popolazione faceva resistenza passiva, in secondo luogo, perché l’esercito del Terzo Reich non aveva, semplicemente, abbastanza uomini e mezzi per effettuare operazioni di sgombero coordinate nell’area (dopotutto, nel frattempo, i soldati tedeschi dovevano combattere contro gli Alleati e i partigiani).
Il 26 luglio fu affisso un manifesto sulla piazza della Chiesa di Sant’Anna che ordinava agli abitanti di trasferirsi verso Valdicastello (oggi frazione di Pietrasanta), la popolazione tuttavia non si mosse. Secondo alcuni, anche spinti da un volantino fatto circolare dai (pochi) partigiani nella zona che invitava la popolazione a fare resistenza passiva. Questa voce non è mai stata confermata (del resto, gli stessi comandi tedeschi avevano definito l’area “zona bianca”, con scarsa attività partigiana, quindi atta ad accogliere sfollati), quello che è certo invece è che i tedeschi non fecero seguire all’ordine azioni di sgombero, anche perché, come già detto, non erano nelle condizioni di farlo. L’ordine, quindi, cadde nel vuoto.
Il 12 agosto ci fu l’eccidio.
La sentenza del Tribunale Militare di La Spezia del 2005, confermata in appello nel 2006 e ratificata in Cassazione nel 2007, definirà l’evento un “atto terroristico premeditato”, ovvero, potremmo dire, al di fuori del “normale” svolgimento della guerra. Di parere diverso la Procura di Stoccarda che invece ritenne non potersi escludere che la strage fosse avvenuta nel contesto della lotta antipartigiana.
Si tratta di una posizione che qualcuno potrebbe fare propria soltanto aderendo alla logica ormai adottata dai comandi nazisti all’indomani dell’adozione del nuovo “Regolamento per la lotta alle Bande partigiane”: anche se Sant’Anna di Stazzema era in quel momento “zona bianca”, ovvero con scarsa o nulla presenza partigiana, avrebbe potuto non esserlo più nel momento in cui la Linea Gotica sarebbe passata di lì e nell’impossibilità di costringere la popolazione ad andarsene, tanto valeva sterminarla, preventivamente, poiché anche vecchi, donne e bambini potevano essere pericolosi per l’esercito del Terzo Reich, in quanto supporto ai combattenti che sarebbero potuti accorrere nell’area conclusi i combattimenti più a sud. Nell’ottica dei comandanti nazisti quindi, per la sicurezza della nascente Linea Gotica, 560 persone, fra vecchi, donne e bambini dovevano morire.