Opera prima del giornalista e scrittore Antonio Petrucci
“Padel nostro” è la storia di Paolo, quarantenne irrisolto che prova a mettersi di nuovo in gioco, dopo fallimenti personali e professionali. Lo farà attraverso intrecci e percorsi inattesi, che ne confermeranno il disperato bisogno di una rinascita, interiore prima ancora che sociale.
Da dove nasce l’idea della stesura di questo libro?
L’idea mi venne in Spagna durante una vacanza in cui giocai casualmente per la prima volta a padel, circa 7 anni fa.
Potremmo definire il volume “Padel nostro” come una moderna storia di riscatto e redenzione?
Sì, una storia in cui il riscatto è rappresentato non tanto dai risultati che si ottengono, quanto dalla comprensione che provarci, rimettersi in gioco sia in fondo la vera redenzione.
Ritiene che nella società contemporanea sia facile sentirsi “irrisolti”, come il protagonista del suo libro? Magari a causa della frenesia, dell’arrivismo, delle influenze digitali che caratterizzano il nostro tempo?
Temo di sì, ed è una frase che mi hanno rivolto anni fa durante un periodo vissuto a Oxford. Mi rimase impressa, la considero un pò l’evoluzione della lost generation di cui parlava Gertrude Stein. Credo che la mia sia proprio una generazione irrisolta.
Quanto può essere importante o sport in un percorso di rinascita personale?
È fondamentale sia per la socialità, sia per sentirsi vivi. La fatica, la sana competizione avviano un processo di rinascita direi emotiva e fanno benissimo anche all’autostima.
Il padel è la disciplina in forte espansione ma sono ancora in molti a non conoscerne le regole e dettami. Come si gioca? Esistono organizzazioni e federazioni che promuovono questo sport?
Il punteggio è uguale a quello utilizzato nel tennis, ma si gioca con palline dalla pressione inferiore, e con pale senza corde, che hanno varie forme e bilanciamenti. Ci si appoggia durante lo scambio sui vetri che sono sia ai lati che alle spalle dei giocatori, e vi è poi una griglia laterale che crea un rimbalzo imprevedibile. Una sorta di incrocio tra tennis e squash, che si gioca in 4 ed ha colpi diversi e scambi lunghi e spesso molto spettacolari.
Ci sono autori o opere letterarie a cui si è ispirato nel curare la stesura del libro “Padel nostro”?
Non voglio fare nomi importanti per evitare paragoni ingenerosi. Non ho seguito nessuno in particolare ma di certo senza accorgemene mi hanno influenzato tutti i miei autori preferiti.
Lei, oltre ad essere un autore, è anche un giornalista sportivo. Come riesce a coniugare i due diversi modi di vivere la scrittura, quello giornalistico da un lato e quello autoriale dall’altro?
Di certo sono due mondi paralleli. Il taglio giornalistico si presta ad un consumo rapido, immediato. Si informa e si comunica una notizia. In un testo si pensa più ad emozionare, a condividere, a svelare parti di sé magari anche per una sorta di autoanalisi che la scrittura ci regala.
Leggendo il libro, si potrebbe dedurre che spesso, nel corso della vita, sia necessario imboccare nuove strade per ritrovarsi. Quanto è importante questo concetto per Lei?
Assolutamente sì. Serve l’umiltà di capire se un progetto è sbagliato, o se una idea non ha avuto successo, e cambiare strada, riprovare, non perdere l’entusiasmo.
Anche l’amore ha un ruolo centrale nel suo romanzo. Potremmo considerarlo come il motore che poi spingerà il protagonista verso la propria redenzione esistenziale?
Direi di sì, ma nel senso dell’amor proprio, della stima di sé, del bisogno di dare un senso alla propria vita. E guarda caso, quando ci si ama capitano cose belle, si incontrano persone che come noi stanno aprendosi agli altri, mostrando anche i propri difetti ma soprattutto dando di sé un’ immagine con meno sovrastrutture, più sincera possibile.
Un’ultima domanda… quale consiglio darebbe ad un giovane che volesse avvicinarsi alla professione giornalistica e letteraria?
Gli direi di provare, di scrivere e riscrivere, di leggere molto, di non demoralizzarsi ai primi rifiuti, e soprattutto di cercare sempre di dire le cose nella maniera più chiara e sincera possibile. I lettori meritano rispetto e non bisogna ingannarli fingendo emozioni e usando trucchetti. Meglio una storia un po’ meno ad effetto ma scritta bene, che grandi idee sviluppate male e senza passione.